La Russia ha avviato una politica di radicale contrasto alla delocalizzazione dell’economia. Così va interpretata la recente decisione di denunciare l’accordo fiscale con l’ Olanda. Il risultato dovrebbe essere che le aziende più grandi inizieranno a pagare molte più tasse al bilancio russo e i loro profitti non andranno più dalla Russia verso Occidente. Tuttavia, ciò che sta accadendo ha anche le sue insidie. La necessità di denunciare l’accordo intergovernativo con l’ Olanda, costruito per evitare la doppia imposizione fiscale e firmato nel lontano 1996, deriva dal fatto che la parte olandese non ha accettato le condizioni proposte dalla Russia per rivedere l’accordo come è stato già fatto con Cipro, Lussemburgo e Malta. Siamo riusciti a concordare con questi Paesi di portare l’aliquota fiscale di base al 15%, mentre in precedenza era quasi pari a zero.
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L’Istituto Gaidar per le Politiche Economiche ha elaborato un quadro interessante e credibile dello stato dell’immigrazione in Russia nel 2020. Intanto, qualche dato. Nel periodo 2016-2019, il numero di stranieri che vivevano in Russia durante l’anno variava da 9,2 a 11,5 milioni, con un minimo all’inizio dell’anno e un massimo in estate e all’inizio dell’autunno. L’inizio del 2020 è stato abbastanza coerente con la tendenza di quegli anni: a fine gennaio 10,3 milioni di stranieri si trovavano in Russia. Tuttavia, la chiusura dei confini in ingresso e in uscita decisa nel marzo 2020 a causa della pandemia di Coronavirus, ha cambiato radicalmente la situazione: l’immigrazione è rallentata e il numero degli stranieri è diminuito di mese in mese, soprattutto in ragione della drastica riduzione all’ingresso provocata dalle misure sanitarie. così all’inizio dell’inverno il numero di stranieri che soggiornavano in Russia si è rivelato il più basso degli ultimi anni: al 1° dicembre 2020 c’erano 7,8 milioni di cittadini stranieri in Russia.