L’accoltellamento del governatore della regione di Murmansk, Andrej Chibis, non è un caso unico nella storia della Russia contemporanea. Anzi, ci sono stati quattro attentati alla vita di governatori. Il 18 ottobre del 2002, a Mosca, sul centralissimo Novy Arbat, il governatore della regione di Magadan, Valentin Tsvetkov, fu ucciso vicino all’ufficio della rappresentanza regionale. L’assassino, che aspettava accanto al portone, sparò a Tsvetkov alla testa, uccidendolo sul colpo. Quattro imputati furono poi condannati a pene da 9 a 13,5 anni di carcere. Tsvetkov aveva 54 anni.
Posts tagged as “Cecenia”
Al momento in cui scrivo queste righe, il computo dei morti a Dnipro ha raggiunto quota 45. E prima di qualunque equivoco, va detto che la responsabilità di questa orrenda strage di civili ricade tutta sulla Russia. Sulla sua leadership politica e militare. E non ha nessuna importanza se il missile, come persino certe fonti ucraine hanno ammesso in ipotesi, non era diretto sul palazzo ma altrove, ed è stato deviato sul palazzo da un colpo della contraerea. Se lanci un’invasione, sei responsabile della guerra che ne deriva. Se lanci un missile, sei responsabile di dove cade. Altro non c’è. Detto questo, mi pare comunque incredibile che ci siano ancora così tante persone pronte a ribadire la retorica della vittoria, della “pace giusta” (che è, come ci spiegano, quella decisa dagli ucraini), in sostanza dell’umiliazione strategica della Russia attraverso la sconfitta sul campo, del naufragio della sua economia tramite le sanzioni, del crollo dei suoi assetti di potere a causa del costo della guerra e, per i più ottimisti, della disgregazione della sua unità federale. Senza che mai, nemmeno una volta, ci si interroghi su quale sia il prezzo che siamo disposti a pagare, e soprattutto a far pagare agli altri, per raggiungere questo obiettivo. Sempre ammesso che l’obiettivo sia raggiungibile.
Agisce un «fattore islam» nella guerra tra Russia e Ucraina? La risposta è sì. Perché la Russia è un Paese multietnico e multiconfessionale, e lo è dai tempi in cui Ivan il Terribile allargò i confini della Moscovia sottomettendo i khanati tatari di fede islamica. Perché l’islam, dal punto di vista della cultura religiosa, è la seconda componente più diffusa nel Paese dopo l’ortodossia cristiana. Perché l’islam, nel bene e nel male, è sempre stato un fattore importante sul versante Sud della Federazione, sia all’interno (i popoli che abitano da secoli il Caucaso) sia all’esterno (il confronto, anch’esso vecchio di secoli, con la presenza turca o turcofona). E bisogna rispondere di nuovo sì perché la proiezione verso i Paesi islamici, in particolare quelli del Medio Oriente, è stata una caratteristica costante dei lunghi anni di potere di Vladimir Putin. Il suo predecessore, Boris Eltsin, non ne aveva mai visitato uno. Putin, in pratica, li ha visitati tutti. E ha impegnato il proprio Paese nella guerra tuttora in corso in Siria.
di Pietro Pinter A giugno, l’avanzata russa decisa dal Cremlino vide il suo ultimo importante successo territoriale fino ad oggi: la presa dell’agglomerato urbano Severodonetsk/Lysychansk e la chiusura della sacca di Zolotye, operazione che mise termine all’offensiva nell’oblast di Lugansk, che passava interamente sotto il controllo dei separatisti. Dopo un’estate di effettivo stallo, però, è iniziata la tanto attesa controffensiva ucraina, al netto di alcune false partenze nell’oblast’ di Kherson. A metà settembre il brusco risveglio per le truppe russe: le forze armate ucraine dilagano a Kupyansk, e quelle russe ordinano una rapida ritirata dall’intero oblast’, per ripararsi dietro il fiume Oskhol. L’avanzata ucraina però non si ferma, e il 1° ottobre gli ucraini entrano nella strategica città di Krasny Lyman, che la guarnigione russa prova a difendere fino a essere quasi circondata.