di Maurizio Vezzosi L’11 e 12 febbraio si è svolta a Minsk l’Assemblea generale bielorussa, evento che si tiene ogni cinque anni e si prefigge di fare un bilancio del piano quinquennale concluso e di approvare quello da inaugurare. Quest’anno ha visto la partecipazione di 2.700 rappresentanti istituzionali di tutti i livelli e di tutti i settori sociali. “Unità, sviluppo, indipendenza” sono state le parole d’ordine dell’Assemblea, presieduta da un Aleksandr Lukashenko ormai al potere da ben 26 anni, e stampati in grandi insegne all’interno e all’esterno del Palazzo della Repubblica, nella centrale Piazza d’Ottobre della capitale.
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LA BIELORUSSIA ABBANDONATA DA TUTTI
QUEL CHE LUKASHENKO CI DICE DI PUTIN
di Marco Bordoni
Non sarebbe giusto giudicare Lukashenko per quel che appare oggi: un guitto, un cavallo spompato, un dinosauro, senza riconoscere i suoi meriti di ieri, facilmente reperibili a un clik di distanza, sul sito della Banca Mondiale: tasso di povertà crollato dal 41% del 2000 al 5% di oggi, aspettativa di vita passata da 68 a 74 anni, reddito pro capite passato da 1.000 a 14.000 dollari l’anno, indice Gini (quello che misura l’ ineguaglianza sociale) fra i più bassi d’ Europa. Il tutto guidando non una superpotenza che galleggia su di un mare di petrolio e di gas (capaci tutti, vero Vova?), ma un’ anfora di coccio che può sostenere una bilancia commerciale da incubo con il poco che ha: trattori e chimica lasciate in eredità dall’ Urss e una montagna di patate.