È una delle compagnie petrolifere più visibili e affermate in Svizzera. In 200 distributori decorati con il logo che esibisce i colori della bandiera azera, Socar vende benzina, cioccolatini e croissant. Dalla sua filiale di Ginevra, la compagnia di Stato dell’Azerbaigian commercia la maggior parte del greggio azero sui mercati mondiali. Attività pacifiche, se non fosse che per mesi Socar è rimasta in stato di guerra.
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Nella nottata di ieri Putin, il presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan hanno firmato un accordo che, per la prima volta dall’inizio del conflitto nel Caucaso, ha (salvo imprevisti) serie possibilità di funzionare. La guerra ha piegato da subito a favore degli azeri, che, forti del sostegno turco, hanno rosicchiato, settimana dopo settimana, le regioni del loro territorio a ridosso del confine iraniano occupate dagli armeni negli anni Novanta per poi entrare, negli ultimi giorni, nel Nagorno Kharabakh vero e proprio, arrivando domenica scorsa a conquistare (o liberare, secondo il loro punto di vista) la città di Shusha, seconda per importanza della regione e ultimo bastione prima della capitale Stepanakert.
di Marco Bordoni
Vista dall’Italia, la guerra armeno-azera sembra un affare abbastanza semplice. C’è il perfido sultano, nostalgico della gloria che fu, che stende i suoi tentacoli da Tripoli al Golfo Persico. Ci sono le orde infedeli che assaltano la ridotta cristiana fino a sommergerla. Il corollario è chiaro: come può Putin, paladino cristiano della terza Roma, assistere impassibile? Come può tollerare l’ insolenza del Turco?
di Fulvio Scaglione
La guerra tra Azerbaigian e Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh gode di poca attenzione dalle nostre parti. Ed è un errore, perché dietro questo conflitto si nascondono temi che stiamo rimuovendo e che, al contrario, dovremmo affrontare. Chi volesse andare alle origini del conflitto dovrebbe risalire almeno al 1921, quando per volere del già potente Stalin la provincia, allora popolata al 98% da armeni, venne assegnata alla giurisdizione della Repubblica dell’Azerbaigian. Uno dei tanti assurdi compiuti in nome del “divide et impera” così caro al futuro dittatore.