di Marco Bordoni – Un paio di settimane fa, nell’incantevole scenario della reggia di Gatchina, nei sobborghi pietroburghesi, Putin ha inaugurato un monumento ad Alessandro III. Nell’elegante palazzo progettato per Grigorj Orlov da Antonio Rinaldi, lo zar cosiddetto “pacificatore” trascorse gran parte del proprio regno. Non è il primo omaggio di Putin ad Alessandro: nel 2017 aveva tagliato il nastro di una statua simile, piazzata in Crimea, nel palazzo di Levadia, e ne aveva elencato i successi: “Autorità internazionale della Russia rafforzata con la fermezza non con le concessioni, rapida crescita economica di pari passo con un riarmo che ha rafforzato l’esercito e la marina, fioritura di cultura e arte, grazie al richiamo alle tradizioni”.
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La Russia ha avviato una politica di radicale contrasto alla delocalizzazione dell’economia. Così va interpretata la recente decisione di denunciare l’accordo fiscale con l’ Olanda. Il risultato dovrebbe essere che le aziende più grandi inizieranno a pagare molte più tasse al bilancio russo e i loro profitti non andranno più dalla Russia verso Occidente. Tuttavia, ciò che sta accadendo ha anche le sue insidie. La necessità di denunciare l’accordo intergovernativo con l’ Olanda, costruito per evitare la doppia imposizione fiscale e firmato nel lontano 1996, deriva dal fatto che la parte olandese non ha accettato le condizioni proposte dalla Russia per rivedere l’accordo come è stato già fatto con Cipro, Lussemburgo e Malta. Siamo riusciti a concordare con questi Paesi di portare l’aliquota fiscale di base al 15%, mentre in precedenza era quasi pari a zero.