di Fyodor Lukyanov Il discorso con cui Joe Biden, il 16 agosto 2021, ha commentato la fine della missione degli Stati Uniti in Afghanistan, e la successiva dichiarazione del 1 settembre, dovrebbero essere considerati un punto di svolta nella politica estera degli Stati Uniti. “So che la mia decisione sarà criticata, ma preferisco accettare tutte queste critiche piuttosto che passare questa decisione a un altro Presidente”, ha detto Biden, sottintendendo che i suoi tre predecessori non erano riusciti a fare il passo necessario. Ha quindi lanciato una frecciata non solo a Donald Trump (citato per nome), ma anche a George W. Bush e persino a Barack Obama. Secondo Biden, gli Usa non avevano mai avuto intenzione di impegnarsi in un nation building in Afghanistan, ma volevano solo affrontare specifici problemi di sicurezza e distruggere i responsabili degli attacchi terroristici all’America, e questi problemi sono stati risolti. Per quanto riguarda il nation building, è una totale bugia, ma è degno di nota l’entusiasmo con cui Washington ora rinuncia ai postulati che considerava fondamentali vent’anni fa.
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Intorno alla Bielorussia, ai suoi pasticci e alle sue tragedie, s’intrecciano quelli che per me sono tre misteri assoluti, soprattutto dopo il”caso Protasevich” e il dirottamento del volo Ryanair. Primo mistero: perché Lukashenko ha scelto l’isolamento internazionale pur di mettere le mani su Roman Protsevich? Che l’Europa avrebbe reagito era scontato: una compagnia aerea irlandese, un volo tra due capitale europee (Atene e Vilnius). Inevitabile prendere provvedimenti. È stato decretato il blocco dei voli per e sulla Bielorussia, forse arriverà anche un quarto round di sanzioni. Ma qualunque provvedimento fosse stato preso, il risultato sarebbe stato quello: isolare ancor più la Bielorussia. Ne valeva la pena? Che cos’aveva di tanto importante quel fascistello di Protasevich, che viveva in esilio già da un paio d’anni, per giustificare tutto questo?