di Pietro Pinter Gli Accordi di Minsk, ormai, sono un lontano ricordo. Siglati il 5 settembre 2014 e di nuovo, in forma sostanzialmente uguale, il 12 febbraio 2015, dopo la fase più calda del conflitto ucraino (che vide interventi militari russi in battaglie come quella dell’aereoporto di Donetsk, di Ilovaisk e di Debaltsevo) sono definitivamente lettera morta dopo il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza delle due Repubbliche separatiste. Gli Accordi rappresentavano, fino a qualche giorno fa, la stella polare della politica estera russa nei confronti dell’Ucraina, non a caso furono siglati dopo delle convincenti vittorie militari. Prevedevano, oltre al cessate il fuoco totale violato quotidianamente dal 2015, la reintegrazione dei territori separatisti nello Stato ucraino in cambio del riconoscimento di un’autonomia costituzionale, in sostanza un potere di veto, che avrebbe di fatto portato alla “bosnizzazione” del Paese o poco meno.